...i miei tesori non luccicano né tintinnano,
essi brillano nel sole e nitriscono nella notte...

 

 

Kok-boru, il gioco del Kyrgyzstan che ferisce i cavalli: il lato oscuro del turismo e della tradizione

03/11/2025

Nel cuore delle steppe del Kyrgyzstan, il kok-boru — gioco equestre simbolo della cultura nomade e oggi patrimonio UNESCO — sta vivendo una nuova stagione, spinta dal turismo internazionale. Ma dietro l’entusiasmo dei pacchetti “autentici” e degli applausi dei visitatori, i cavalli pagano il prezzo più alto: scontri violenti, ferite, esaurimento.
Chiediamo all’ONU e all’UNESCO di rivedere il riconoscimento di una tradizione che, così com’è praticata, dimentica il rispetto per la vita.

C’è un momento, sulle alture del Kyrgyzstan, in cui il silenzio dei pascoli viene spezzato da un rombo secco di zoccoli. Due cavalli si lanciano uno contro l’altro, le teste dei cavalieri si sfiorano, la polvere si alza. Il pubblico — molti turisti — esulta. È una partita di kok-boru, il gioco equestre che l’UNESCO riconosce come patrimonio immateriale dell’umanità.
Ma ciò che agli occhi del visitatore appare come un frammento di cultura nomade, per i cavalli coinvolti è spesso un teatro di sofferenza.

Il turismo che risveglia antiche ferite

Negli ultimi anni il Kyrgyzstan ha vissuto una crescita rapida del turismo internazionale. Gli operatori locali, per rispondere alla domanda di esperienze “autentiche”, hanno inserito il kok-boru nei pacchetti di viaggio: spettacoli organizzati per i visitatori, spesso improvvisati fuori stagione, dove la spettacolarità conta più della tradizione.
E così, un gioco che un tempo aveva un significato comunitario, si è trasformato in un evento commerciale in cui a soffrire, ancora una volta, sono gli animali.

Una testimone italiana, in viaggio nel Paese, racconta a IHP: “Si vedono cavalli lanciarsi a tutta velocità, spingersi e urtarsi finché uno non cede. La guida mi ha detto che molti restano feriti al petto o ai posteriori, ma ‘fa parte del gioco’”.
Secondo la stessa guida locale, dopo anni di declino, il kok-boru sta tornando di moda proprio grazie ai turisti: “Più ci sono spettatori stranieri, più i villaggi organizzano partite”. È business, non tradizione.

Un gioco dalle origini antiche

Nato tra i nomadi dell’Asia Centrale, il kok-boru (in kirghiso “lupo grigio”) era in origine una simulazione di caccia, una prova di coraggio e abilità. Oggi è lo sport nazionale del Kyrgyzstan, giocato con una carcassa di capra che i cavalieri devono afferrare e depositare nel “kazan”, una sorta di buca-porta.

Nel 2017 è entrato nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO, come simbolo di identità e coesione sociale.
Un riconoscimento importante, che però solleva una domanda: fino a che punto la tutela della cultura può giustificare la sofferenza di esseri senzienti?

L’altra faccia della tradizione

I filmati e le testimonianze raccolte e consegnate a IHP mostrano cavalli spinti a collisioni violente, senza alcuna protezione, durante partite spesso ripetute più volte al giorno. Animali esausti, feriti, obbligati a correre fino al collasso.
Eppure, mentre la comunità internazionale promuove lo sport come simbolo di “unità e rispetto tra uomo e cavallo”, la realtà sul campo racconta un’altra storia: quella di animali trattati come armi.
In un passaggio del dossier ricevuto da IHP, si legge:

“Il turismo ha trasformato il kok-boru in un’attrazione. Ma un cavallo che si schianta contro un altro, a trenta all’ora, non è spettacolo: è sofferenza.”

IHP: la tradizione non può essere un alibi

Per IHP, che da anni si batte per la tutela dei cavalli e la fine delle pratiche che li sfruttano, il kok-boru rappresenta un caso emblematico: la collisione fra patrimonio culturale e diritti degli animali.
Riconosciamo il valore storico e identitario di questa tradizione ma ciò non può legittimare la crudeltà. Nessun simbolo culturale dovrebbe fondarsi sulla sofferenza.
Stiamo lavorando per segnalare all’ONU e all’UNESCO le condizioni di maltrattamento documentate, chiedendo che venga aperta una revisione del riconoscimento del kok-boru e che siano stabiliti criteri chiari di tutela per gli animali coinvolti.

Appello ai viaggiatori

Chi assiste a queste partite contribuisce, anche inconsapevolmente, a mantenerle in vita.
Per chi desidera conoscere davvero il Kyrgyzstan, ci sono alternative rispettose, per entrare in contatto con le comunità locali ma senza sostenere lo sfruttamento e l’uccisione di animali. Il viaggio autentico non ha bisogno di sangue per essere vero.

Un’eredità da riscrivere

Il kok-boru racconta la storia di un popolo e la forza del legame tra uomo e cavallo. Ma oggi quella storia può — e deve — essere raccontata in un modo nuovo, che includa anche il rispetto per la vita di chi rende possibile lo spettacolo.
Perché la vera modernità non è cancellare la tradizione: è trasformarla.

Per questo chiediamo che l’ONU e l’UNESCO rivedano la tutela del kok-boru alla luce dei principi sul benessere animale; che vengano adottate regole internazionali per evitare pratiche cruente sugli equidi; che i turisti, consapevoli, scelgano di non assistere né finanziare eventi di kok-boru e privilegino attività che rispettino gli animali. Perché la cultura vive solo quando è capace di evolversi nel rispetto di tutte le forme di vita.

(foto: Helen Owl, Wikimedia commons)

 

(foto: Helen Owl, Wikimedia commons)

 

(foto: Evgeni Zotov, Flickr)

 

Kyrgyzstan - Lago Song-Kul