27/10/2025
Quando la cultura arretra invece di evolversi
È accaduto a Orani, in provincia di Nuoro, il 13 ottobre scorso: otto giovani del posto sono stati denunciati dai Carabinieri della Compagnia di Ottana per aver dato vita a una corsa di cavalli non autorizzata tra le vie del paese. Le immagini, riprese dalle telecamere di sorveglianza, hanno mostrato i ragazzi lanciati a folle velocità in sella ai propri cavalli, poco prima dell’inizio dei festeggiamenti per San Daniele. L’episodio — denunciato dall’ANSA il 23 ottobre — ha suscitato preoccupazione e indignazione, sia per la messa in pericolo di persone e animali, sia per il segnale culturale che trasmette: quello di un legame ancora distorto fra identità, tradizione e uso del cavallo.
La difesa del sindaco: “non corse clandestine, ma prove di abilità”
A pochi giorni dalle denunce, La Nuova Sardegna ha pubblicato una lunga nota dell’amministrazione comunale di Orani. Il sindaco, Marco Ziranu, ha preso posizione pubblicamente, difendendo non solo i giovani cavalieri coinvolti, ma anche la pratica stessa, definita come “vardias”, cioè espressioni di abilità, coraggio e senso di appartenenza, tramandate da generazioni e celebrate in molte feste tradizionali dell’isola.
Nel post ufficiale, il primo cittadino ha respinto l’idea di “corse clandestine”, parlando invece di un gesto da inquadrare nella storia e nella cultura locale, e ha aggiunto che gli oranesi hanno “amore e rispetto per i cavalli, che non sono mezzi ma compagni di vita”. Un messaggio che, pur nelle intenzioni concilianti, rivela un problema profondo: l’incapacità di leggere la tradizione alla luce delle nuove sensibilità etiche e sociali.
Noi non possiamo limitarci a osservare la vicenda dal punto di vista giuridico. Al di là delle denunce e dei procedimenti che competono alle autorità, ciò che emerge è un tema di opportunità politica e morale.
Un sindaco non rappresenta soltanto la storia e le radici di un territorio. Rappresenta anche il suo presente e il suo futuro. Chi ricopre un ruolo istituzionale ha la responsabilità di guidare la comunità verso una crescita culturale, interpretando i cambiamenti sociali e promuovendo modelli più evoluti di convivenza con gli animali.
Difendere pratiche come le “vardias” — che espongono cavalli e persone a pericoli reali, che costringono animali sensibili a comportamenti contrari alla loro natura — non è un gesto di orgoglio identitario: è un passo indietro.
Il bisogno del cavallo è la libertà.
Il cavallo non nasce per essere cavalcato, spinto o addestrato a gareggiare. In natura è un animale sociale, abituato a vivere in gruppo, in movimento continuo, in relazione con i propri simili. Le cosiddette “prove di abilità” non rispettano queste necessità: generano stress, paura, dolore fisico e psicologico. E spesso, come nel caso di Orani, diventano anche un rischio per chi vi partecipa. Riconoscere questo non significa rinnegare la tradizione, ma farla evolvere. La cultura di un popolo non è immobile: cresce insieme alla consapevolezza collettiva.
Evolversi è la vera tradizione
Il sindaco di Orani ha detto che il suo paese “sa fare cultura, sa fare comunità e sa farsi rispettare”. Parole che condividiamo, ma che assumono valore solo se accompagnate da una scelta coerente: il rispetto non può escludere i cavalli. Essere “comunità” oggi significa anche saper abbandonare abitudini che appartengono al passato, quando si riconosce che provocano sofferenza o mettono in pericolo la vita di un altro essere vivente.
La Sardegna è una terra straordinaria, ricca di tradizioni autentiche e di profondo legame con la natura. Può e deve essere anche un luogo dove la cultura del cavallo si rinnova nel segno della libertà, della consapevolezza e del rispetto.
IHP continuerà a monitorare gli episodi che coinvolgono cavalli in contesti di spettacolo, manifestazioni popolari o gare non regolamentate, e a cercare di promuovere un dialogo costruttivo con istituzioni, amministrazioni e cittadini. La nostra missione è culturale prima ancora che giuridica: trasformare la percezione del cavallo da strumento a individuo, da “mezzo” a compagno di vita libero e rispettato. Solo così potremo dire, davvero, di vivere in una società che “sa farsi rispettare”.