...i miei tesori non luccicano né tintinnano,
essi brillano nel sole e nitriscono nella notte...

 

 

Varenne: l’ipocrisia di un mondo ancora troppo poco conosciuto

23/06/2019

La notizia dell’imminente trasferimento di Varenne, il cavallo che ha vinto più di tutti nelle corse di trotto, viene raccontata dai principali organi di informazione con sfumature e contorni di felicità, come se si stesse parlando di una persona che decide di cambiare vita. Invece si parla di un cavallo che è diventato il simbolo più evidente dell’ipocrisia di un’industria basata sullo sfruttamento, che racconta favole da vendere al grande pubblico.

Per sapere la verità sulla vita, tutt’altro che felice, di Varenne, riprendiamo un commento pubblicato qualche giorno fa da Sonny Richichi, presidente IHP.

<<VARENNE: quando l’ipocrisia nel mondo del cavallo raggiunge i massimi livelli

Un articolo apparso ieri su La Nazione parla della diatriba giudiziaria legata alla proprietà di Varenne, il cavallo trottatore diventato “famoso” per aver vinto più di tutti. Il pezzo si sofferma in particolare sulla mobilitazione di tanti appassionati di ippica per scongiurare il rischio che il cavallo venga trasferito dalla provincia di Torino a quella di Pavia, se il Tribunale deciderà in tal senso. Da un lato c’è la società Varenne Futurity di Enzo Giordano che da 17 anni ha il cavallo nel suo allevamento a Vigone, e dall’altro la Varenne Forever amministrata da Valter Ferrero, attuale presidente di ANACT (Associazione Nazionale Allevatori del Cavallo Trottatore).

Nell’articolo c’è una profusione di sentimenti ed emozioni, che parlano di un cavallo che sta vivendo felicemente la sua vecchiaia e che, se spostato da un’altra parte, risentirebbe per la perdita dei suoi affetti, in particolare per quella che viene chiamata la sua “tata”, Annamaria Crespo, la groom che lo gestisce.
Ecco l’ipocrisia del mondo dei cavalli elevata alla massima potenza.

E allora raccontiamo che vita fa Varenne (che, giova ricordarlo, è un cavallo che in teoria avrebbe delle precise caratteristiche etologiche) grazie all’intervista, pubblicata due anni fa dal quotidiano Libero, a Jacopo Brischetto, proprietario dell’allevamento Il Grifone dove vive Varenne, e a Giampaolo Minnucci, il driver che lo ha condotto negli ippodromi di mezzo mondo.

Ebbene, fino al 2002 Varenne, invece di fare il cavallo, faceva la moto da corsa, tra allenamenti, gare e viaggi in lungo e in largo per diversi anni, durante i quali il contatto più ravvicinato con i suoi simili lo ha avuto sulle piste…il tutto per far fruttare ai suoi proprietari vincite per oltre 6 milioni di euro.
Poi uno pensa: vabbè, ma almeno da quando ha finito di correre vive serenamente, non deve fare più gare, non deve andare avanti e indietro, vivrà finalmente da cavallo.

E invece no: uno che, per avere Varenne nel suo allevamento, ha speso circa due milioni di euro, secondo voi lo lascia in pace a vivere in verdi pascoli? Varenne deve rendere, e rende molto più adesso di quando correva in ippodromo: fa lo stallone, che nel gergo dell’ambiente non significa mica che sta in branco con le sue femmine, come natura vuole…bensì che “produce” seme, venduto a peso d’oro. Leggendo quanto dice nell’intervista il proprietario dell’allevamento, ogni nascita di un puledro dal suo seme viene pagata circa 12.000 euro e fino a due anni fa sarebbero nati 2.100 puledri: facendo due conti, possiamo ipotizzare che finora lo sperma di Varenne abbia procurato incassi per almeno 25 milioni di euro.

Allora uno pensa (subdolo pensiero maschilista): vabbè, ma almeno si divertirà, con tutti questi accoppiamenti! Macché. Ecco in cosa consiste l’attività di stallone di Varenne, lo raccontiamo per bocca dello stesso Brischetto: «Varenne viene portato vicino alle cavalle e così si eccita. Vede laggiù quell’attrezzo di cuoio e acciaio che ricorda la cavallina della ginnastica artistica? Ecco, lo si fa salire appoggiandolo da dietro e gli si applica questo tubo, che è una vagina artificiale. Dopo pochi minuti il seme è raccolto: da una boccetta ce ne è abbastanza per ingravidare cinque o sei cavalle» (cit. da intervista Libero quotidiano del 22 marzo 2017). Il tutto avviene tre volte la settimana tra febbraio e luglio.
Le fialette col seme vengono spedite in tutto il mondo in appositi pacchetti refrigerati, per essere inoculate ad altrettante cavalle ingravidate artificialmente.

Nel frattempo, Varenne viene accudito dalla groom che gli prepara la colazione, il pranzo e la cena (eppure stiamo parlando di un cavallo, che per natura si nutre di erba o fieno nell’arco delle 24 ore) e che “tra un pasto e l’altro” lo fa trottare alla corda per qualche decina di minuti e poi gli fa trascorrere la giornata in un recinto di 50 x 50 metri. Da solo. La notte invece la trascorre in box. Per paura che lo rubino, oltre ai vari sistemi d’allarme, davanti all’ingresso viene parcheggiato un grosso trattore e in una stanza a fianco dorme un guardiano.

Questa è la vita di un cavallo che non è mai stato veramente un cavallo.
Varenne è il simbolo di un mondo perso in se stesso, dove i cavalli vengono umanizzati: amano correre e allenarsi (ma quando mai), amano vincere (ma mi faccia il piacere), amano viaggiare in continuazione su van, camion e aerei (ragazzi, siamo seri), e soprattutto amano stare solo ed esclusivamente in compagnia di umani, mai e poi mai con i loro simili.
Alla fine di questa vita innaturale, la stragrande maggioranza dei non vincenti sparisce improvvisamente dalla circolazione, destinazione mattatoio (a volte preceduta da altre forme di sfruttamento: maneggi, carrozze, palii). I pochi “fortunati” vincenti come Varenne sono destinati a una seconda vita, diversa ma altrettanto innaturale. E per quanto dorata la possano rendere, è pur sempre una prigione.

Mi chiedo se anche all’Equicenter di Cesare Rognoni, dove sta per essere trasferito, Varenne troverà un "attrezzo di cuoio e acciaio che ricorda la cavallina della ginnastica artistica", su cui lo faranno montare, e qualcuno che lo masturberà con un tubo.>>


Articolo-intervista Libero, 12 marzo 2017



Articolo Corriere della Sera



Articolo La Nazione